Rubrica d'arte

La morte di Marat

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La morte di MaratLa morte di Marat è un dipinto ad olio su tela di grandi dimensioni, 165 m x 125 m, conservato attualmente nel Museo Reale delle Belle Arti del Belgio a Bruxelles, realizzato dal pittore francese neoclassico Jacques-Louis David nel 1793 col fine di rendere onore al morto, in commemorazione alla violenta morte di Jean-Paul Marat, uno tra i più importanti capi della Rivoluzione francese, nonché amico dello stesso artista. L'opera, realizzata non molto dopo il tragico accaduto, riscosse subito un immediato successo e tutt'ora è considerata una delle più elevate testimonianze del coraggio e la virtù degli uomini di quella rivoluzione che sarebbe poi sfociata nel periodo del “Terrore francese”. Inoltre il dipinto ispirò un gran numero di artisti, tra cui Munch, Picasso e Ferdinando Cicconi e nel campo letterario Peter Weiss scrisse un'opera teatrale, “la persecuzione e l'assassinio di Jean-Paul Marat, rappresentato dalla compagnia filodrammatica dell'ospizio di Charenton sotto la guida del marchese de Sade”. David presta una grande attenzione al momento da lui scelto con minuziosità per il dipinto, in quanto preferisce non l'attimo dell'omicidio, ma l'istante successivo, carico di significato, della crudezza realistica della morte. Una delle tematiche principali nella rappresentazione è l'eroismo, tematica ricorrente anche nel precedente dipinto di David “Il giuramento degli Orazi”, ma a differenza dell'altra opera, in questo quadro il coraggio dell'eroe si manifesta sotto l'ottica del gesto estremo, il sacrificio della proprio vita in nome dei principi rivoluzionari, dando gloria ai principi della rivoluzione e onore al morto. Il rivoluzionario è rappresentato riverso nella vasca da bagno, in cui era solito immergersi poiché affetto da dermatite, con un'evidente ferita sotto la clavicola causata da una pugnalata di Charlotte Corday, esponente del partito girondino, a lui contrario. Il coltello da lei utilizzato giace ancora insanguinato sul pavimento, chiara e oggettiva rappresentazione dell'azione malvagia di un'assassina esclusa dalla scena, e al contempo viene contrapposto alla penna di Marat, simbolo delle virtù civiche del direttore del giornale “l'amico del popolo”, mentre tra le dita livide e rigide dell'altra mano stringe ancora la lettera consegnatagli dalla girondina prima dell’omicidio, sulla quale si legge: «al Cittadino Marat: la mia grande infelicità mi dà diritto alla vostra benevolenza». Accanto alla vasca vi è posto un blocco di legno con la funzione di scrittoio dove sono poggiati il calamaio, la penna e l’assegno che Marat stava firmando per Charlotte Corday poco prima che venisse ucciso: sul lato rivolto verso l’occhio dell'osservatore l’artista ha posto una breve iscrizione «À Marat, David» che trasforma il piccolo sostengo ligneo per scrivere in una sorta di semplice e triste monumento funerario, l'ultimo addio di David all'amico deceduto. La semplicità e l'essenzialità dell'arredamento dell'ambiente circostante rimandano allo stile di vita di Marat semplice e modesto, esente da ogni tipo di ricchezza spropositata. Tutt'intorno lo sfondo è spoglio e di un unico, cupo colore verdastro, per mettere il soggetto in primo piano in una luce ancora più drammatica e tetra. Il secondo piano risulta completamente assente e tale mancanza rende lo sfondo senza prospettiva e profondità, quindi indefinibile, tranne che per un tenue pulviscolo dorato nell'angolo in alto a destra. Il dipinto ha una forte somiglianza ai toni chiaroscurali di Caravaggio che David aveva studiato duranti i suoi viaggi in Italia, e sfrutta questa tecnica per dare un tocco livido e crudelmente realistico al soggetto da lui rappresentato. Un altro forte riferimento è il braccio pendente di Marat fuori dalla vasca, che è chiaramente una ripresa del braccio di Cristo nella “Deposizione nel sepolcro” di Caravaggio e il “Trasporto di Cristo morto” di Raffaello, nonché del gruppo scultoreo della “Pietà” di Michelangelo. Tali riferimenti si intendono come un ultimo grande onore al morto, in quanto in questo tipo di rappresentazione esalta le sue virtù e accresce l'atmosfera mistica e sacra intorno alla figura eroica di Marat. Vi è pertanto una forte aura di neoclassicismo che concede grande onore al morto, in quanto Marat non è rappresentato nella sofferenza della morte ma, come voleva il canone dell'arte greca, nell'armonia e nell'onore di una fine onorevole, fiero dei propri principi rivoluzionari di libertà, fraternità e uguaglianza; il suo viso infatti non è deturpato dalla morte e dal dolore come sarebbe naturale, perché David gli concede un simbolico accenno di sorriso, tuttavia un sottile realismo gli dipinge il volto di un colorito pallido e livido, innaturale. In seguito l'opera fu definita “la pietà della rivoluzione” e questa definizione riafferma l'aura di sacralità spirituale nel dipinto che pur rappresenta un momento laico, che a ben poco a che vedere con la religione, trasformando così il saluto estremo di un amico, l'ultimo onore al morto, nell'opera più conosciuta di Jacques-Louis David.

 

di Michela Oliviero



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